Dal fonema al grafema al nullema?

Nel mese di maggio dell'anno scorso sul blog Noivastesi c'è stato un interessante dialogo sul dialetto vastese.

Ci sono tre tipi di dialetto vastese ben distinti? Se si scrive in dialetto, bisogna usare quello trascritto da Luigi Anelli alla fine dell' ’800 o quello parlato oggi? Il dialetto vastese è una lingua vivente o è una lingua morta? Dall'epoca di Anelli fino gli anni ’50 la mutazione del dialetto è stata lenta, che fare di fronte a una trasformazione molto più rapida, con la perdita di tanti vocaboli? Come regolarsi nel passaggio dal parlato allo scritto? Se il dialetto vastese è una lingua viva, bisogna adattare il grafema al fonema, cioè riprodurre per iscritto un suono: ma come farlo? Con regole standardizzate o con la libera creatività degli scriventi? E come affrontare le diversità dello stesso dialetto più tradizionale, tra campagna e abitato urbano, tra mestieri diversi, addirittura in circostanze diverse (anni fa si parlava di sermo communis e sermo urbanus)?

Verrebbe anche la curiosità di sapere come venga qualificata una lingua morta non molto tempo prima della morte. E se esista una modellizzazione del percorso di trasformazione. Ma anche questo è tema per cultori della materia.

Chi non si occupa di linguistica percepisce il dialetto vastese come materia fluida e volatile. Essenzialmente tradizione orale, in un tempo in cui si è consegnato male e poco. Oggi senza più il sostegno di una società statica o quello di apparati di normalizzazione e di controllo. Caduco. In fondo, sono sempre onde sonore.

Viene in mente che, nell'ormai remoto 1975, una ben nota label di Arles ha pubblicato un cd in cui, a partire dalla decrittazione delle notazioni della parte vocale fatta da Suzanne Haïk Vantoura, venivano ricostruiti alcuni dei canti della Bibbia. Si è cercato di far risuonare di nuovo il canto, ad esempio, del celebre salmo 23 il Signore è il mio pastore. Quattro anni dopo, per la stessa label, Gregorio Paniagua e i musicisti dell'Atrium musicae di Madrid hanno ricostruito un ampio set di strumenti musicali (auloi, lyra, kithara, hydraulos, syrinx, ecc.) e hanno provato a far risuonare i minuscoli (e controversi) frammenti di scrittura musicale dell'antica Grecia. E a dare un’idea dell’enormità della perdita. Operazioni bellissime e avventurose, specialmente la seconda senza riscontri di una buona approssimazione all'originale.

Fatte le dovute proporzioni, si dovrebbe rifare lo stesso percorso? Un vastese del 2080 parla il dialetto dell'epoca e, magari, ha gli occhi a mandorla e dice J’ai sou vastaroller. Ha avuto contatto diretto con il dialetto parlato da nonni nati attorno al 2020. Può immaginare, ricostruire e ancor più riprodurre i suoni, anche i più caratteristici, del dialetto alla Anelli di 200 anni prima? Sulla sola base dei simboli scritti? La commutazione tra grafema e fonema è agevole con una lingua usata correntemente. Lo sarà altrettanto con suoni mai uditi?

Per questo l'esistenza di un archivio, di una banca dati dell’universo sonoro (parole, frasi, proverbi, spezzoni di conversazione, registrazioni dal vivo, canti, ecc.) del dialetto parlato nei diversi periodi (se sia di tipo A, B, C o Z, lo vedranno i cultori della materia) diventa uno strumento di documentazione e di conservazione indispensabile, soprattutto se quel parlato scompare per trasformazione. Con una conservazione analoga agli scritti antichi o alle fotografie. E anche molti anni dopo gli ascoltatori avranno un documento sonoro dell'epoca con buona approssimazione all'originale. E gli studiosi del dialetto avranno uno strumento per seguire e studiare la sua evoluzione.

I ragionamenti svolti nel dialogo sono confortanti, perché presuppongono logicamente che le scorte in cantina siano abbondanti. Che esistano, da qualche parte, non ore ma addirittura settimane di registrazione del dialetto parlato da gran parte dei nostri genitori (ma anche da figli e nipoti). Altrimenti è abbastanza vicino il rischio - oggi per il dialetto alla Anelli, domani per le variazioni successive - di passare dal fonema al grafema al nullema. Strologando sui suoni che sarebbero rappresentati da simboli grafici irrimediabilmente equivoci.


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